La Fondazione del P.C.d'Italia 

Il nostro raggruppamento è nato negli anni sessanta ma ha origini lontane. Esso proviene da quella corrente di sinistra del Partito Socialista Italiano che si battè, negli anni venti, per formare un vero partito di classe. Fu questa corrente che nel 1921 capeggiò a Livorno la fondazione del Partito Comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale Comunista. Coerentemente con queste origini le basi programmatiche specifiche della nostra organizzazione sono costituite: dalla piattaforma di Livorno; dai 21 punti di Mosca, (apparsi come condizioni di ammissione alla Terza Internazionale); dalle tesi e risoluzioni del secondo congresso dell'Internazionale Comunista del 1920. 

La lotta contro il tatticismo e lo stalinismo 

Il P.C.d'It. nasce il 21 gennaio 1921. La corrente di sinistra ne assume la direzione e la guida fino all'ottobre del 1923. Essa si distingue dal centro e dalla destra per la sua opposizione alla tattica del fronte unico, inaugurata dall'Internazionale col 3° congresso. La tattica del fronte unico, che in teoria consisteva nel creare alleanze tra comunisti e socialdemocratici, nella pratica divenne peggio. Sfociò nei governi operai: cioè in governi socialdemocratici con l'appoggio dei comunisti. Essa favorì la politica di zig-zag che portò allo sbandamento i partiti comunisti appena formatisi. Nell'ottobre del 1923, l'Esecutivo dell'I.C., profittando dell'arresto di Bordiga; sostituisce la direzione di sinistra del P.C.d'It. con quella di centro composta da Gramsci. La sinistra comunista cercò di ricondurre la tattica del Komintern ai principi e ai metodi stabiliti nel secondo congresso mondiale; resistendo alla politica nazionale russa perseguita dopo la morte di Lenin dalla nuova direzione staliniana. Essa fu la prima a rivendicare un cambiamento di direzione, esigendo il rovesciamento della piramide: esigendo cioè che l'Internazionale poggiasse non solo sul partito russo ma anche sui partiti comunisti degli altri paesi.
Nel 1926 giunse all'epilogo la lotta interna nel seno del P.C.d'It. tra la sinistra e la corrente di centro, fautrice delle posizioni staliniane. Al congresso di Lione, che si tenne nel gennaio del 1926, la sinistra, già posta in minoranza, venne definitivamente emarginata. Con l'estromissione della sinistra la bolscevizzazione del partito (stalinizzazione) si completò del tutto. Negli anni successivi la sinistra non ebbe dubbi sulla natura controrivoluzionaria dello stalinismo e, a differenza di altre correnti di opposizione, essa cominciò a trattarlo non come una semplice deviazione dal leninismo bensì come l'espressione politica del capitalismo di Stato russo in via di sviluppo. Essa vide nello stalinismo una rottura con il passato rivoluzionario dei tempi di Lenin; una nuova forma di opportunismo peggiore della precedente forma socialdemocratica. 

Il periodo dell'emigrazione 

Con la vittoria definitiva dello stalinismo in Russia e il consolidamento in Italia del regime fascista, inizia per i militanti della sinistra il difficile periodo di travaglio politico che li costringerà all'emigrazione; per quelli almeno che riusciranno a scampare agli arresti alla deportazione o al domicilio coatto. Da questo momento incomincia infatti per essi il periodo più oscuro e più pericoloso della loro vita militante. Nel 1928 le forze della sinistra emigrate all'estero incominciano la loro attività pubblicistica in Francia e in Belgio, ove esse si raccolgono, dapprima col nome di frazione di sinistra del P.C.d'It., successivamente nel 1935 col nome di frazione italiana della sinistra comunista. All'estero la frazione si sforza di difendere il patrimonio teorico del marxismo e gli insegnamenti della rivoluzione di fronte allo stalinismo trionfante, allo sbandamento di vecchi combattenti comunisti, al passaggio alla socialdemocrazia di parecchi oppositori antistalinisti. Questo sforzo è riflesso nel quindicinale Prometeo e nel bimestrale Bilan redatto in lingua francese.

Stalin-Togliatti 1927-1936 

In Russia il centro staliniano, sopraffatta la sinistra, rompe con il leninismo. Sostituisce la bandiera della rivoluzione internazionale con quella nazional-riformista del socialismo in un solo paese. Per scroccare lavoro gratuito agli operai russi e l'appoggio operaio internazionale, contrabbanda l'industrializzazione del paese come edificazione del socialismo. La Sinistra Comunista dispersa in Europa cerca di resistere al fascismo al nazionalismo e allo stalinismo. Il PCI di Togliatti coopera alla calunnia e allo sterminio dei rivoluzionari. Nel 1936 egli propone a Mussolini un patto di pacificazione nazionale. Nella guerra civile di Spagna staliniani e togliattiani cooperano alla liquidazione delle forze rivoluzionarie. 

La sinistra comunista e Trotsky 

La vita politica, nell'emigrazione, è terribile e la polemica fra le varie correnti di opposizione allo stalinismo impietosa. Nel 1932, dopo una serie di polemiche durate alcuni anni, l'opposizione internazionale di Trotsky e la frazione rompono del tutto i loro problematici rapporti. Le divergenze, che possiamo raggruppare in tre punti, erano divenute sostanzialmente insanabili. Infatti: 1°) l'opposizione considerava la Russia uno Stato operaio degenerato, la frazione la giudicava invece capitalismo di Stato; 2°) l'opposizione si rifaceva sulle questioni tattiche al frontismo, la frazione si richiamava ai 21 punti, ossia alla separazione più netta dai socialdemocratici; 3°) l'opposizione sosteneva la necessità di fondare una nuova internazionale, la frazione riteneva che nella grave situazione in cui si trovavano le forze rivoluzionarie ciò era impossibile e che al suo posto occorreva una lunga opera di chiarificazione teorica.
Chiusi i rapporti con l'opposizione di Trotsky, per la frazione inizia un periodo più difficoltoso. Tenere uniti i vari gruppi sparsi in più paesi continuamente squinternati dalla repressione poliziesca e da quella degli apparati staliniani diveniva, col peggiorare della situazione, sempre più difficile. La sconfitta dei repubblicani e la vittoria del franchismo in Spagna accentuano le difficoltà. Alla fine degli anni trenta Frazione e movimento comunista rivoluzionario toccano il fondo della disarticolazione. 

Costituzione del P.C.Int. 

Nel 1939, quando scoppia la seconda guerra mondiale, il movimento rivoluzionario è quindi a terra. La guerra è la prosecuzione a scala allargata della prima guerra mondiale; ed è, come questa, di rapina e di ripartizione del mondo. I gruppi della Sinistra Comunista denunciano la natura imperialistica della guerra e dei belligeranti, dell'asse nazi-fascista (Italia-Germania-Giappone) e della coalizione democratica (USA-Inghilterra-Francia-Russia); ma non sono in grado di capeggiare alcun movimento di opposizione pratica.
Negli anni di guerra essi non possono fare molto di più. Tuttavia, grazie al lavorio di contatto che non cessò mai, dopo il crollo del fascismo i gruppi operanti in Francia Belgio e i compagni che si trovavano in Italia si ricongiungono e sul finire del 1943 costituiscono il Partito Comunista Internazionalista. Il partito prese il nome di internazionalista per distinguersi dai comunisti togliattiani diventati nazionali, alleati della monarchia (svolta di Salerno) e subalterni alla spartizione dell'Europa e al modello occidentale. 

Gli Internazionalisti di fronte alla"resistenza" 

Lo scoppio della guerra ed il passaggio della Russia sul fronte dell'imperialismo anglo-franco-americano contro il nazi-fascismo avevano gettato i residui gruppi di resistenza operaia e le organizzazioni comuniste di sinistra in uno stato disastroso. Nella bufera che sradicava tutto gli internazionalisti italiani non si persero d'animo e, raccogliendo le proprie forze, condussero un'intensa azione di denuncia del carattere imperialistico della guerra in corso, sforzandosi di mantenere ferma la posizione che i bolscevichi avevano tenuto durante la prima: il disfattismo rivoluzionario all'interno del proprio paese.
La situazione che si venne però a creare alla fine della seconda guerra mondiale fu molto diversa di quella che si ebbe dopo la prima. Il proletariato europeo, lungi dal rivolgere le armi contro la borghesia del proprio paese, si fece rimorchiare dall'ala filoamericana nella guerriglia partigiana contro il nazi-fascismo per restaurare il vecchio ordine democratico-liberale. Perciò, nonostante il partito denunciasse il carattere borghese della resistenza e chiamasse gli operai a forme di azione diretta contro gli sfruttatori capitalisti, fascisti o democratici che fossero; dati gli impari rapporti di forza tutti i suoi tentativi rimasero senza alcun risultato immediato. 

Il partito nella situazione del dopoguerra 

Finita l'ubriacatura patriottica della resistenza per il proletariato si presentava il periodo gravoso della ricostruzione. La borghesia italiana, con l'appoggio dei partiti social-comunisti, riuscì a riorganizzare l'apparato statale e a rovesciare sulle masse il peso economico della ricostruzione. Col 1948 ogni proposito, e ogni illusione di abbattere la borghesia &endash; sentimenti abbastanza diffusi nelle file del PCI &endash; si spengono. Ora la situazione si evolve sulla cadenza lenta di un ciclo di ripresa e di sviluppo del capitalismo che smorza qualsiasi speranza sulla possibilità di azioni rivoluzionarie a breve scadenza. C'è però da dire che, mentre in occidente l'imperialismo ristabilisce il pieno controllo sulle masse salariate, nel resto del mondo (Asia, Africa, America Latina) la lotta di liberazione dei popoli coloniali ed oppressi entra nella sua fase più calda.
Il problema del che fare in questa situazione investe il partito con tutta la sua vastità. Questo non è preparato a un compito così vasto e si apre, quindi, a soluzioni inadeguate e contrastanti. Così mentre una parte, credendo che lo strapotere dell'imperialismo USA sarebbe andato crescendo e convinta che lo stalinismo aveva distrutto completamente principi ed organizzazione comunisti, ritiene che occorrerà un lungo periodo storico prima che si determini una situazione rivoluzionaria e stabilisce quindi che il compito avvenire deve consistere nel restaurare la dottrina marxista; l'altra, partendo dal concetto che nell'imperialismo il cambiamento delle situazioni è brusco, sostiene la necessità di conservare il partito per preparare i quadri alle future situazioni. La prima tendenza fa capo a Bordiga; la seconda a Damen. Fu questo il nocciolo delle divergenze; ma solo il nocciolo. Attorno a esso (natura e compiti del partito) si addensava un certo numero di altre questioni controverse, in parte lascito del passato (definizione dell'economia russa), in parte frutto del presente (questione sindacale - atteggiamento sui moti nazionali). Perciò la crisi organizzativa che durava da parecchio tempo non poteva che sfociare in una scissione. 

La prima scissione. Il P.C. Internazionalista si divide in due: "Battaglia Comunista" e "Programma Comunista" 

Nel 1952 il P.C.Int. si divide in due tronconi. Il primo, detto tendenza attesista, prende il nome di Programma Comunista: dall'omonimo titolo dell'organo di stampa. Il secondo, detto tendenza attivista, conserva il nome di Battaglia Comunista dall'omonimo titolo dell'esistente organo di stampa. La polemica tra attesisti e attivisti non termina però con la scissione. Continua anche dopo di essa; a volte aperta, ma per lo più in modo sotterraneo e in un linguaggio comprensibile soltanto agli iniziati. In sostanza, in questa particolare polemica si riflettono, come in uno specchio deformante, le carenze soggettive e le difficoltà oggettive della lotta rivoluzionaria nel periodo degli anni cinquanta e nel decennio successivo.
La tendenza attivista, pur sostenendo la necessità di preservare il partito che essa concepisce come educatore, non riesce a dare alcuna valida indicazione pratica, scadendo o nell'empirismo o nel passivismo. La tendenza attesista, pur muovendo dalla convinzione sbagliata che sia possibile restaurare la teoria ripresentandola (concezione del partito come teoria), articola alcuni interventi pratici; e, opponendo alle concezioni luxemburghiste ed operaiste (presenti nel movimento internazionalista) le interpretazioni leniniste, si pone come punto di riferimento politico più attrezzato per le nuove generazioni. È per questo, essenzialmente, che Programma Comunista divenne la corrente più tipica ed importante del movimento internazionalista e raggiunse, nel corso degli anni cinquanta e sessanta, il maggiore sviluppo politico e organizzativo. 

La seconda scissione. Da "Programma Comunista" si forma "Rivoluzione Comunista" 

I programmisti, benché più influenti dei battaglisti, non erano in grado al pari di questi ultimi di affrontare i compiti pratici della lotta rivoluzionaria che il nuovo periodo storico, prorompente degli anni sessanta poneva agli internazionalisti. La fine del miracolo economico e la crisi del 1964 segnano l'inizio di una nuova fase nell'accumulazione capitalistica; l'inizio di un periodo di crescenti lotte di classe. Dominato dall'idea ossessiva di una controrivoluzione sempre imperante, del dominio assoluto dell'imperialismo americano, di un proletariato incatenato e soggiogato dalle menzogne opportuniste, il vecchio gruppo dirigente restava tentennante di fronte alla nuova realtà. Con l'afflusso di nuove leve il divario tra teoria e prassi si faceva sempre più stridente. Già agli inizi degli anni sessanta erano scoppiati diversi dissidi interni, seguiti da polemiche e emorragie, che, sia pure indirettamente toccavano quasi sempre la questione dei compiti pratici del partito. Nondimeno è solo verso la fine del 1963 che su questo problema tattico-strategico si sviluppa una vera e propria lotta interna. Sono alcuni nostri compagni ad ingaggiare questa lotta col proposito aperto di modificare radicalmente le basi di vita del raggruppamento, allo scopo di prepararlo e di temprarlo all'azione; per trasformare il programmismo in internazionalismo militante.
Questa lotta, nelle condizioni in cui viveva allora programma, si scontrava con la mentalità tradizionalista del gruppo dirigente e dell'elemento anziano. Così non restava altra via che la scissione. Questa avvenne alla fine di un convegno generale tenutosi a Firenze nel novembre del 1964. È da questa scissione che nasce formalmente il nostro raggruppamento: Rivoluzione Comunista. Il suo segno distintivo è che non può esistere una organizzazione rivoluzionaria che non faccia attività rivoluzionaria. 

La partecipazione alla lotta 

Come nella prima scissione degli internazionalisti, anche nella seconda, non fu raggiunta subito, da tutti coloro che la vissero, la consapevolezza della natura e della portata effettiva delle divergenze. Queste, alla riunione di Firenze, si polarizzarono su una questione di carattere organizzativo; sul punto, cioè, se il partito doveva avvalersi, o meno, nel regolare la propria vita interna, del metodo democratico. Ciò in teoria perché nella pratica esso era inoperante. In effetti la discussione sul metodo democratico celava i contrasti più profondi, sui quali si sviluppava la lotta interna e che riguardavano i metodi di azione, i compiti pratici del partito ed, in fondo, la stessa concezione del partito che, essendo una organizzazione di lotta, deve partecipare fisicamente alla lotta di classe e non starne fuori. Quindi, nella scissione non fu in ballo la semplice contrapposizione tra centralismo organico e centralismo democratico, bensì il ruolo del partito. Solo più tardi fu capita, dai sostenitori del centralismo democratico, la sostanza effettiva delle divergenze; e, quando ciò avvenne, la maggior parte di essi, invece di cimentarsi nell'impegno militante, cominciò a tirarsi indietro. Il gruppo, nato con poche decine di elementi, non esitò affatto a liberarsi di questi incerti e a proseguire sulla via della più decisa e risoluta azione pratica. 

Cos'è il partito 

Certo la consistenza numerica è, per un raggruppamento politico, una condizione di partenza estremamente importante agli effetti pratici. Tuttavia senza una salda coscienza comunista, senza una fiducia incondizionata nella capacità di lotta delle masse sfruttate, senza l'impiego di giusti metodi d'azione, senza verifica pratica; senza di ciò, anche un'organizzazione molto consistente non può fare lunga strada. La funzione d'avanguardia non dipende dal numero ma dalla capacità di stabilire un giusto rapporto col movimento reale. Cosa possibile solo a partire da un'analisi corretta della realtà. E, quindi, solo se si interviene in essa.
Il nostro raggruppamento ha cominciato a muovere i suoi primi passi sorretto dalla convinzione che il partito si costruisce mediante l'attività pratica quotidiana. Convinto che non ci sono altre vie, all'infuori della pratica rivoluzionaria, per poter creare un vero partito d'avanguardia. È con questo animo che esso ha combattuto il programmismo e combatte le remore teoricistiche all'attività pratica da qualsiasi parte provengano. In questi primi anni non sono mancati coloro i quali hanno criticato il nostro raggruppamento per il fatto di essersi chiamato partito. A questi saccenti abbiamo risposto che noi abbiamo un concetto diverso del loro, sostanzialmente formale e burocratico. Per noi il partito non è questa o quella organizzazione, più o meno numerosa; è l'organizzazione che lotta; l'organizzazione dei rivoluzionari comunisti che tali sono nelle parole e nei fatti; sapendo peraltro molto bene che un partito sviluppato, politicamente e organizzativamente, è ancora da costruire. 

Teoria e prassi 

Qualcuno potrebbe obbiettare che facendo leva sul lavoro pratico si viene a trascurare la teoria. Ma è vero proprio il contrario. L'attività pratica non solo esige il possesso di chiari principi teorici, ma è anche il mezzo per approfondire la teoria. In fondo il limite reale di ogni forza politica non risiede nell'assimilare una teoria elaborata, ma nell'agire e nell'elaborarla.
C'è una domanda, che tormenta l'internazionalista separato dal proletariato; ed è se sia possibile affrontare la realtà senza avere prima una perfetta visione della stessa. Questa domanda è oziosa. Per poter conoscere bene la realtà della lotta di classe e organizzare interventi adeguati è necessario, prima di tutto, intervenire in essa, starci dentro. Senza di ciò non si acquisterà mai una visione corretta di questa realtà. La teoria rivoluzionaria non è scienza morta, è scienza viva, studio e ricognizione obbiettiva dei processi reali. Il partito vede tanto più e bene quanto più ha dietro di sé esperienza capacità di lotta legame vivente con la realtà.
Il criterio risolutore di ogni questione, delle vere e delle false, è l'attività pratica. Le nuove leve operaie, che sono sulla strada dell'internazionalismo o che sono sulla via di avvicinarsi ad esso, debbono assimilare fino in fondo questo criterio. Solo assumendo a principio base l'impegno pratico esse potranno portare il loro contributo allo sviluppo proletario e rivoluzionario. Altrimenti sprecheranno le loro energie nella palude dell'intellettualismo o dell'empirismo.
Alla fine di questa fase di avvio il gruppo venne guadagnato, nel suo complesso, al giusto principio che occorre sviluppare l'attività rivoluzionaria partendo sempre dai bisogni elementari delle masse. Fu dopo questo periodo iniziale di assestamento interno che il gruppo raggiunse una certa omogeneità politica, e acquisì la condizione indispensabile per avviare una stabile attività di propaganda e agitazione a contatto diretto con le masse proletarie.